Letter from Alberto Savinio for Countess Pecci Blunt
L.A.S. indirizzata alla Contessa Pecci Blunt. Roma, 28 dicembre 1938. 1p. (21x29 cm). Con busta da lettere con timbro postale (14x12 cm). Perfetto stato.
L.A.S. indirizzata alla Contessa Pecci Blunt. Roma, 28 dicembre 1938. 1p. (21x29 cm). Con busta da lettere con timbro postale (14x12 cm). Perfetto stato.
Lettera con argomento la vendita dell’opera Penelope.
“Nascendo all’ombra del Partenone, lo scheletro di marmo che non butta mai ombra, si riceve in eredità una generatrice di luce interna e un paio di occhi trasformatori”, così Savinio amava definirsi. Artista poliedrico e sorprendente, ha esplorato tutte le forme d’arte: la musica, suo approdo iniziale, poi la scrittura e ancora più avanti, la pittura, in un lungo percorso che lo vide protagonista del fermento avanguardista di primo novecento.
La sua prima personale parigina fu organizzata dal poeta Jean Cocteau. Il grande poeta francese André Breton considerava lui e il fratello Giorgio de Chirico gli iniziatori di quella forma d’arte che prese poi il nome di surrealismo. Il suo motto era “dare forma all’informe e coscienza all’incosciente”, e questa forma assumeva spesso la maschera del mito. La trasfigurazione ironica e destabilizzante del mito, come accade per la figura di Penelope.
Tra il 1930 e il 1945 ne dipinge almeno sei tele e due schizzi intitolati Penelope, a cui si possono aggiungere “La fidèle épouse" (1930-31), “La vedova” (1931), “La fidanzata abbandonata” (1931). Della nobiltà della regina di Itaca, archetipo usato nei secoli per declinare le virtù muliebri più convenienti ai mariti, non c’è nulla o quasi: al suo posto c’è una figura mezza donna e mezza papera seduta in atteggiamento di attesa vicino ad una finestra.
Antico e moderno collidono: è così che Savinio si beffava di chi non aveva ancora capito che la modernità non è più il tempo per gli eroi. Il regime fascista costruiva sul mito il suo discorso nazionalistico, e lui diseroicizzava uno dei miti fondanti delle civiltà mediterranee, facendo di Penelope una papera e di Ulisse un uomo normale che non vuole più essere considerato un eroe. Con queste parole lo definiva Leonardo Sciascia: “dilettante nello scrivere, nel dipingere, nel far musica, nel pensare, nel vivere. Dilettante come Luciano di Samosata. Dilettante come Stendhal […]e lo stendhalismo di Savinio è il rifiuto della noia, il dilettarsi della vita, l’essere dilettanti”.
Proprio nello stesso anno in cui viene scritta questa lettera, il 1938, vengono emanati provvedimenti razziali, e la Cometa della Pecci Blunt, dopo aver dovuto subire gli accanimenti dei giornali di Interlandi e di quanti ce l’avevano con l’arte moderna, decide di chiudere i battenti in segno di solidarietà verso quegli artisti messi al bando dalle funeste leggi.
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